Da dove veniamo?

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Lo ricordo bene quel giorno.

Ero alle scuole medie, probabilmente al primo anno.

I professori avevano organizzato una gita sui Monti Lessini, un’escursione volta ad approfondire le nostre conoscenze sulla storia dell’uomo.

Ancora non avevo la più pallida idea di cosa fosse l’antropologia, ma la prima parte del sussidiario, quella dedicata all’evoluzione della nostra specie, era sicuramente la più consumata.

Sono passati occhio e croce una ventina d’anni: tra quelle pagine si parlava ancora di evoluzione umana stile Pokemon, da ominide a homo erectus, da homo erectus a homo abilis, da homo abilis a homo di neanderthal, da homo di neanderthal a homo sapiens.

Non era ancora ben chiaro il concetto per cui la nostra specie non si è evoluta come Pikachu ma è al contrario l’unica sopravvissuta di una delle tante specie di ominide presenti sulla terra qualche decina di migliaia di anni fa. Convivevamo tra di noi come un barboncino convive con un pastore tedesco, ma a differenza dei nostri pacifici amici canidi, noi sapiens riuscimmo ad estinguere letteralmente tutte le altre specie di homo, probabilmente uccidendole, cacciandole e sopraffacendole, proprio come oggi continuiamo a fare con il panda rosso, i bonobo e la balenottera azzurra. Il lupo perde il pelo ma non il vizio, si dice.

L'albero genealogico dell'uomo (riadattato dallo Smithsonian's National Museum of Natural History
L’albero genealogico dell’uomo (riadattato dallo Smithsonian’s National Museum of Natural History)

Tornando ai primi anni 2000 a quella gita e a quel periodo silente della vita in cui tutto questo mi era ignoto.

Ricordo benissimo di aver visitato con i miei compagnetti e le pazienti professoresse un museo a cielo aperto dedicato alla storia dell’uomo primitivo. C’erano delle casupole in legno col tetto di paglia, delle pelli di orso appese all’esterno a mo’ di tende da sole, dei prototipi di vasi in legno e argilla sparsi qua e là tra una casetta e l’altra e un baffuto signore sui 50 anni che dedicò la sua intera giornata a farci da guida in quell’affascinante mondo senza tempo.

A un certo punto ci avvicinammo tutti ad un rudimentale cerchio di panche, uno sgabello centrale pronto ad ospitare la nostra guida che con convincente entusiasmo ci invitò a sederci attorno a lui.

In relativo silenzio lo seguimmo. “Ora vi farò vedere da dove veniamo” disse.

Lo osservammo incuriositi e confusi da quell’affermazione tanto bislacca.

“Noi veniamo da Venezia!” rispose uno dei miei compagni.

Baffo si mise a ridere, dando poca importanza a quella risposta quanto mai sincera e ovvia.

“Vi faccio vedere da dove veniamo noi esseri umani!” e dicendo questo prese da uno sgabello a lui vicino un canovaccio marroncino e consunto, usurato dal tempo nella parte centrale. “Questa è pelle di camoscio” disse appoggiando quello straccio sulla coscia.

I nostri occhi puntati su di lui osservarono le sue mani pescare qualcosa da dentro la tasca della giacca di pelle. Da quel ripostiglio fino a poco prima sconosciuto il Baffo estrasse due pezzetti di pietra, due sassi, uno più liscio e lucente e un altro più opaco e robusto.

“Vedete ragazzi, questo” disse sollevando il sasso robusto “è un semplice sasso di fiume, di quelli che potete trovare in qualunque torrente delle nostre montagne. L’importante è che sia robusto e resistente.”

“Quest’altra invece” disse alzando la pietra luccicante “è una pietra di selce. La selce è un altro tipo di sasso, ma più fragile. Se lo si lavora nel modo giusto si possono ottenere delle schegge molto taglienti che possono essere usate come punte di freccia, come coltelli per staccare la pelle dalle carcasse degli animali o come lame per tagliare qualsiasi cosa. Si fa così” disse appoggiando la selce sullo straccio di cuoio e cominciando a batterla con il sasso.

Il rumore cadenzato dei due sassi che si scontravano uno contro l’altro riempì l’aria attorno a noi.

Osservammo tutti in silenzio quell’operazione, incuriositi dalle mosse del Baffo, essere divenuto orami mitologico, uscito dalla realtà primitiva e catapultato nell’epoca moderna solo per insegnarci l’ABC della caccia.

“Ecco” disse dopo pochi istanti scanditi dalla cantilena del suo battere sasso con sasso, alzando al cielo il risultato del suo lavoro, un perfetto triangolino di selce simile a un dente di squalo per forma e dimensione.

Lo passò al compagno più vicino che lo studiò con curiosità e lo fece girare tra le mani di tutti gli altri.

“Ragazzi, noi veniamo da questa punta di selce. Grazie a questa punta di selce e alla sua lavorazione i nostri antenati sono riusciti a crearsi un mondo intero. A differenza degli altri animali, la presenza di questi strumenti ha fatto si che noi potessimo cacciare, uccidere, cucinare, mangiare, lavorare le pelli e creare dei vestiti, tagliarci i capelli, tritare le erbe e chi più ne ha più ne metta! Se un giorno vi chiederete da dove veniamo? ricordatevi di questo piccolo pezzo di pietra perché noi tutti veniamo da qui. Ricchi, potenti, poveri, deboli: tutti veniamo dallo stesso pezzo di selce, non dimenticatelo mai.”

“Una lucertola morta!” urlò Marco d’un tratto sovrastando la voce del Baffo e facendo calare di colpo l’attenzione di tutti. “Dove dove!?!?” urlarono i suoi amichetti alzandosi dal cerchio e rovinando per sempre quel momento magico, ponte tra passato e presente.

La presenza della lucertola calamitò presto l’attenzione di tutta la classe e i racconti di pietre, cacce e evoluzioni andarono presto a finire nel dimenticatoio collettivo.

Tutt’ora però quando cammino per un sentiero di montagna e mi imbatto in un pezzettino di selce non riesco a non pensare a quella giornata.

Lucertola morte a parte, le parole del Baffo continuano a risuonare nella mia mente. Noi tutti veniamo veramente da lì.

Un piccolo pezzo di selce unito alle nostre mani e al nostro istinto di sopravvivenza ci ha reso ciò che siamo ora, la specie dominante su questo piccolo pianeta. Forse, come ci disse il Baffo molti anni fa, sarebbe necessario non dimenticarlo mai.

Ricchi, potenti, poveri, deboli: tutti veniamo dallo stesso pezzo di selce, non dimenticatelo mai.


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Armi, acciaio e malattiev

Autore:   Jared Diamond 

Titolo: Armi, acciaio e malattie

Pagine: 414

Casa editrice: Einaudi

Un saggio dell’antropologo Diamond, grande classico per capire da dove veniamo noi Sapiens.

Sapiens

Autore:   Yuval Noah Harari 

Titolo: Sapiens. Da animali a dèi

Pagine: 534

Casa editrice: Bompiani

Un saggio di Harari per capire in parole semplici come siamo arrivati fino a qui.


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