Ogni giorno da bambina l’appuntamento con Dragon Ball era una tappa fissa della mia giornata.
Alle 13 e 45, cascasse il mondo, dovevo essere in qualche modo davanti a una televisione per vedere cosa sarebbe accaduto a Goku, Crilin, Vegeta, Junior e a tutti i loro amici.
Ogni volta passavano 24 interminabili ore tra una puntata e l’altra, un intero giorno di attesa in cui la fantasia vagava nella speranza che tutto andasse bene, che Goku trovasse le sfere, che Cell morisse, che Majin Bu restasse quel bonaccione coccoloso e morbidoso amico di Mr Satan.
Quando Freezer uccise Crilin facendolo esplodere sul pianeta Namecc condivisi il dolore di Goku; quando lo stesso Goku morì la prima volta (ancora non sapevo che ne sarebbero susseguite delle altre) in qualche modo piansi con Chichi e con Bulma.
Adoravo talmente tanto il mondo dei Sayan da riempire i miei sogni di bambina di voli, teletrasporti, battaglie, sfere del drago e onde energetiche. Ad un carnevale mi vestii addirittura da C18 tanto era la passione che provavo verso quei personaggi.
Durante la ricreazione a scuola giocavo a Dragon Ball con le mie amichette Goku-dipendenti mentre la maggior parte delle altre bambine della mia classe giocavano a mamma-casetta o a fare la verticale sui muri di Campiello Albrizzi.
E poi gli album di figurine, i pupazzetti, i fumetti, i tatuaggi appiccicosi che si trovavano dentro ai gelati e dentro agli album.
Quelle poche volte in cui mi arrischiai a disegnare (il cubismo mi faceva un baffo) c’era sempre qualche tuta arancione, qualche chioma nera, qualche sfera stellata a riempire il foglio.
Si dice che ogni cosa, ogni esperienza nella vita deve avere un significato.
Per me Dragon Ball significa infanzia, amicizia, determinazione, capacità di reagire di fronte alle difficoltà, tenendo duro e non mollando mai.
Ricordo che Goku ogni qual volta perdeva una battaglia ne usciva più forte, vedendo sempre il lato positivo nelle cose, migliorandosi e preparandosi con maggior determinazione a una nuova battaglia, che fosse una gara a chi mangiasse più riso o una guerra per salvare il futuro dell’umanità.
Nell’insieme dell’opera di Akira la violenza, quella che tanto preoccupa spesso i genitori di oggi che preferiscono cartoni edulcorati a Dragon Ball, è solamente un contorno, un appendice.
Nei miei ricordi le battaglie tra Sayan sono solo uno spazio tra la parola “amicizia” e la parola “lealtà”.
C’è un famosissimo haiku del poeta giapponese Matsu Bashu (1644-1694) che recita così:
La campana del tempio tace,
ma il suono continua
ad uscire dai fiori.
Akira Toriyama non è più qui fisicamente con noi, a disegnare e inventare mondi incredibili.
Ma l’eco delle sue storie e la personalità viva e vera dei suoi personaggi continueranno a farci compagnia per sempre.
Grazie Akira, salutaci Re Kaioh
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Buona lettura!
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