Studiare Dante è inutile?

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Ah l’Italia, li nostro bel paese, ricco di cultura, cibo, patrimoni Unesco, borghi, paesi da sogno. Oddio, certe città nonostante siano nella nostra penisola restano senza infamia e senza lode. Ma nel ricordare tale dettaglio…stai fresco! In molti si offendono, ribadendo la bellezza di ogni singolo centimetro della nostra terra e al sentirsi dire “il mondo è grande e pieno di luoghi magnifici” la loro risposta si può riassumere in un severo: non mi tange. Eccolo, il gran rifiuto. “Qui c’è il mare, qui c’è il sole, qui c’è il cibo, qui c’è tutto: ciò che è fuori non sarà mai alla pari della nostra cara Italia.”

Bene, questo fortunatamente non è un articolo sulla testardaggine del popolo italiano, siamo qui per parlare di poesia più che altro. Quindi, se non è questo il filo rosso del discorso, di cosa stiamo parlando?

Il tema di questo articolo centra in ogni caso con l’Italianità, anzi, con una delle sue sfaccettature più belle che abbiamo la fortuna di possedere. No, non è il Chianti, nemmeno il gorgonzola e neanche i taralli, il prosecco, Leonardo Da Vinci o Cristoforo Colombo.

È una cosa che accomuna tutte le parole in risalto all’inizio di questo articolo. Luoghi comuni e modi dire che fanno parte della nostra vita quotidiana, di primo acchito slegati tra loro.

Invece hanno tutti un’origine comune, anzi si potrebbe dire un genitore in comune, meglio ancora un padre in comune, sono tutti usciti dalla stessa penna: letteralmente. E colui che impugnava quella penna in un tempo lontano, settecento anni fa, era niente meno che il caro Dante Alighieri.

Tutti ci ricordiamo di Dante: lo abbiamo studiato a scuola, lo abbiamo sentito recitare da personaggi famosi come Benigni qualche anno fa al settecentenario della sua morte (qui un estratto del suo spettacolo), abbiamo letto alcuni dei suoi versi scritti nei posti più inconsueti (nella mia scuola all’entrata dei bagni qualche simpatico studente aveva scritto col pennarello indelebile “lasciate ogni speranza o voi ch’intrate“: non aveva tutti i torti).

Insomma, quella di Dante è una presenza importante per la nostra storia, non solo per le opere che ha scritto, ma soprattutto per il mezzo con cui le ha scritte: la sua lingua.

Oggi in tanti ritengono che insegnare ancora Dante sia inutile: il mondo galoppa, cambia, la tecnologia ci assorbe sotto ogni aspetto…perché mai perdere tempo a studiare cose vecchie scritte centinaia di anni fa? È inutile!

Ma cosa è inutile? Oggi purtroppo viviamo in un mondo in cui il denaro è l’essenza, un cosa è ritenuta utile solo e unicamente se porta un’entrata economica. Monetizzare, guadagnare, investire: questi i termini chiave della nostra epoca. Quindi secondo questa logica tutto ciò che è escluso dal guadagno, non serve.

Quindi Dante, a meno che non si insegni o si faccia il dantista per professione (certo, esistono linguisti e professori specializzati solo sull’universo dantesco), non porta il pane in tavola, non fa pagare le bollette o pagare il mutuo. Dante sotto questo punto di vista è inutile, come lo sono Petrarca, Manzoni, ma come lo è anche guardare tutte le stagioni di Game of Thrones, tutti i film Marvel o passare mezza giornata su fb a guardare video di gattini.

Ma in questo ragionamento ci si dimentica spesso di un fattore essenziale: nella vita non solo le tasche si riempiono.

I bagagli che ci portiamo dietro lungo il corso della nostra esistenza non sono solo pieni di banconote o di zeri sul conto corrente. Esistono anche altri tipi di bagagli che non necessitano dipendenza dal denaro per esistere. Sono i bagagli della conoscenza e sono bellissimi da portarsi appresso, addobbano la nostra mente e arricchiscono la nostra vita come nessun soldo potrà mai fare. Si legano a doppio filo alla nostra origine, alle nostre tradizioni.

Insomma, siamo su questa terra da 150.000 anni: arricchire le nostre conoscenze significa dare la giusta importanza alle migliaia di persone che ci hanno preceduto e grazie alle quali siamo qui oggi.

Chiaro è che il modo in cui questa conoscenza ci viene trasmessa influisce grandemente sull’importanza che le daremo nell’arco della nostra vita.

Faccio un esempio che prende in causa proprio il nostro amico Dante Alighieri.

Se a scuola siamo stati costretti ad imparare a memoria il primo canto dell’inferno o il contrappasso di tutti i dannati, ripetendo versi fino alla nausea, riterremo Dante e le sue opere totalmente inutili. Anzi, in molti casi arriveremo ad odiarle.
Ma se Dante ci viene spiegato partendo dalla vita di tutti i giorni, se ci viene raccontato di quanto la lingua di Dante sia stata essenziale ed importante per la nostra storia, di quanto sia ancora viva, se giochiamo con Dante, allora state certi che arriveremo ad amarlo.

Per esempio se veniamo a sapere che molti modi di dire sono nati dalla penna di Dante, ci verrà voglia di capire in quale contesto lui li ha inventati, andremo a cercare informazioni e arricchiremo il nostro bagaglio culturale senza nemmeno fare fatica. Questo vale quando si è ragazzi, ma ancor di più nella consapevolezza della vita adulta.

Ed eccoci arrivati alla fine di questo breve articolo che si va a ricongiungere al suo inizio. Ti ho messo curiosità vero? Quando e perché Dante ha parlato di bel paese, gran rifiuto, infamia e lode? Vediamolo assieme:

  • Il bel paese: troviamo questa espressione nel canto XXXIII dell’Inferno, verso 80, che recita: “del bel paese la dove ‘l sì suona“. Siamo nel girone dei traditori della patria, il famoso canto in cui viene narrata la storia del conte Ugolino e Dante si lascia andare in un’invettiva contro Pisa, “vituperio delle genti / del bel paese dove ‘l si suona“. Pisa è la vergogna del bel paese dove risuona la lingua del , cioè il toscano. Dante usa questo termine nella sua opera in latino De vulgari eloquientia per definire la sua lingua e differenziarla dalla lingua d’oc (il provenzale) e la lingua d’oil (il francese antico), in cui il si diceva oil, da cui l’odierno oui.
  • senza infamia e senza lode: siamo al III canto dell’Inferno, Dante e Virgilio entrano nell’Antiferno il luogo in cui vivono gli ignavi, coloro che in vita non si sono schierati né dalla parte del bene né da quella del male, ma semplicemente dalla parte del più forte: ecco il perché del senza infamia e senza lode.
  • stai fresco: questa espressione oggi è ironica, indica spesso il trovarsi nei guai per qualche malefatta. Dante dice “I’ vidi, potrai dir, quel da Duera, Là dove i peccatori stanno freschi” nel canto XXII dell’Inferno al verso 117 indicando il lago ghiacciato in cui sono immersi i traditori, dove i peccatori quindi stanno al fresco.
  • non mi tange: siamo sempre all’Inferno, al canto II, verso 92. A parlare è Beatrice: Dio l’ha mandata a parlare con Virgilio per invitarlo a salvare Dante. Nel vedere una così bella creatura senza sofferenze in un luogo misero come l’Inferno, Virgilio chiede il perché di tale paradosso e la ragazza risponde “Io son fatta da Dio, sua mercé, tale / che la vostra miseria non mi tange“, cioè io sono stata mandata da Dio, sono al suo servizio e la vostra miseria non mi tocca, non mi sfiora.
  • gran rifiuto: III canto dell’Inferno, sempre il canto degli ignavi al verso 60. Qui Dante parla di Celestino V, il papa che nel 1294, dopo solo quattro mesi di pontificato, decise di dimettersi, fatto abbastanza singolare se pensiamo che sono stati meno di una decina i papi che hanno fatto la stessa scelta in quasi 2000 anni di storia. È giusto anche ricordare che Clemente V ha abdicato all’età di 85 anni dopo una vita intera trascorsa a fare l’eremita: insomma, possiamo comprenderlo, dalla pace dei sensi immerso in mezzo alla natura alla frenesia della vita da papa…dimettersi era il minimo. Dante si riferisce a lui e lo definisce come “colui /che fece per viltade il gran rifiuto“, cioè colui che si dimise per viltà.

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Autore: Dante Alighieri

Titolo: La Divina Commedia

Pagine: 664

Casa editrice: Newton Compton

Un’opera che ogni italiano dovrebbe avere nella sua libreria per sfogliarla poco alla volta.

Dante_Barbero

Autore: Alessandro Barbero

Titolo: Dante

Pagine: 356

Casa editrice: Editori Laterza

Dante raccontato come solo Alessandro Barbero poteva fare. Super consigliato!


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Buona lettura!


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