Goethe, l’Italia e il senso del viaggio

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Siamo nel 1786.

L’Europa è un’accozzaglia eterogena di paesi non ben definiti sulla mappa geografica in procinto di scoppiare. Tra tre anni scoppierà la rivoluzione francese, il “popolo” si illuderà di aver ripreso in mano il potere tagliando la testa al re e tra i tavolini dei primi caffè, insieme ad una innovativa bevanda al gusto di cacao e ai kg di cipria con cui le dame si cospargono viso capelli e décolleté, circolano idee innovative quali l’uguaglianza tra le diverse classi sociali, la fraternità tra i vari popoli del mondo e l’egualità tra uomini, donne, poveri e ricchi.

Beh, non solo questo chiaramente, ma in linea di massima il mondo intellettuale del vecchio continente è in fermento, pronto a vivere una nuova epoca di novità e scoperte tecnologiche. Qualche anno prima un certo James Watt aveva perfezionato la macchina a vapore, cambiando radicalmente il concetto di produzione, che passò da artigianale e derivante solo dalla forza lavoro degli uomini e degli animali, a industriale, nato dallo sfruttamento del calore e caratterizzato dalla produzione in scala.

Tutto questo avrebbe portato a breve a nuove industrie, con esse nuovi indumenti, nuovi cosmetici, nuove scarpe, nuovi ombrelli, nuovi mobili, nuovi mezzi di trasporto: insomma, un domino di novità che avrebbe stravolto il mondo occidentale tanto quanto il lancio sul mercato del World Wide Web, detto Internet, dell’I-Phone di Steve Jobs, del congelatore e del sushi (non sottovalutiamo il potere del sushi, in dieci anni ha fatto scomparire la tradizione dalle case di mezzo mondo, portando a barattare lo spezzatino della nonna fatto con amore per i nipoti il sabato sera con i nigiri appiccicosi contenenti pesce pescato in chissà quale mare e congelato da anni).

Nel 1786 un giovane uomo di nome Johann Wolfgang, 37 anni compiuti da poco, proveniente dall’attuale Francoforte sul Meno (tedesco, molto tedesco), decide di crearsi un documento falso per mantenere l’anonimato e di andare a vedere per la prima volta il mare intraprendendo un viaggio di scoperta nel Bel Paese, all’epoca diviso in staterelli come neanche il miglior tabellone di Risiko.

Parte in carrozza e con pazienza e curiosità affronta quel viaggio, chiamato all’epoca Grand Tour. Oggi tutti i ragazzini sognano di viaggiare a Dubai e a Bali per immergersi nella finzione di un mondo di lustrini creato ad hoc per turisti da spennare. All’epoca ogni giovane aristocratico ambiva al Grand Tour per riempire i suoi occhi di cultura, arte e letteratura.

Come cambia il mondo.

Meta principale del Grand Tour era l’Italia: da poco era nata la passione per l’archeologia, accademie di studi iniziavano a fiutare l’importanza che alcune rovine avrebbe potuto avere nello studio dei popoli passati e fu così che il nostro paese iniziò a diventare un cantiere a cielo aperto (…in un certo senso da lì non si mosse più).

Pompei, il Colosseo e Roma tutta, l’Arena di Verona, Ercolano, le tombe Etrusche divennero luoghi di interesse, non più considerati rovine da abbattere e lasciare in mano allo sfacelo, bensì monumenti da conservare, studiare e valorizzare.

Il giovane Johann viaggia per due lunghi anni, percorrendo la penisola da nord a sud. Si innamora della licenziosità di Venezia, città ancora per pochi anni in mano alla Serenissima, patria di prostitute e gioco d’azzardo, una Las Vegas del tempo in saor ; visita Firenze, Roma, Napoli per approdare poi in Sicilia, meta esotica per l’epoca, lontana e sconosciuta.

Johann torna a casa nel 1788 e tiene in cassetto per anni il resoconto di quel suo viaggio. Sicuramente i cambiamenti politici dell’epoca, un Napoleone alle porte della sua dittatura e una conseguente ricerca di tranquillità lo portarono a ritirarsi a vita privata e a lasciare temporaneamente in disparte le pubblicazioni. Nel 1817 ritrova però la voglia di raccogliere quei suoi racconti, complice forse la solitudine data dalla morte della moglie, e pubblica in due volumi il suo Italienische Reise (Viaggio in Italia). Opera da cui noi oggi possiamo dedurre molti, moltissimi particolari di quello che era il nostro paese sul finire del XVIII secolo.

Quel giovane era Johann Wolfgang Goethe.

Di recente mi è capitata una sua operetta tra le mani, si intitola “Epigrammi veneziani” ed è una raccolta di brevi versi che l’autore scrisse durante il suo ultimo viaggio a Venezia nel 1790. Oltre a declinare le bellezze giunoniche di alcune giovani donne con cui ebbe a che fare in città, il poeta si sofferma una paio di volte a definire in versi l’Italia.

Leggendo il suo Viaggio in Italia le descrizioni sono molto più dettagliate, ma trovo che nei versi sia riuscito a riassumere in poche parole la condizione in cui si trovava il Bel Pese più di 200 anni fa.

Questa è l'Italia che io lasciai. Pur sempre polverose le vie,
pur sempre spennato lo straniero, faccia pure quel che crede.
Lealtà tedesca invano cercai per ogni dove;
qui c'è vita e c'è animazione, ma non ordine né disciplina;
ciascuno pensa solo a sé, di altrui diffida, è vano,
e i reggitori dello stato, anche loro, pensano a sé soli.
Bello è il paese, ma Faustina, ahimè, non ritrovo.
No, non è più l'Italia che con dolore lasciai.
(Epigramma numero 4)
Das ist Italien, das ich verließ. Noch stäuben die Wege,
Noch ist der Fremde geprellt, stell’ er sich, wie er auch will.
Deutsche Redlichkeit suchst du in allen Winkeln vergebens;
Leben und Weben ist hier, aber nicht Ordnung und Zucht;
Jeder sorgt nur für sich, mißtrauet dem andern, ist eitel,
Und die Meister des Staats sorgen nur wieder für sich.
Schön ist das Land; doch ach! Faustinen find ich nicht wieder.
Das ist Italien nicht mehr, das ich mit Schmerzen verließ.

E ancora:

Il bisogno, si dice, insegna a pregare; se qualcuno vuole imparare
si rechi in Italia! Di bisogno ne troverà a volontà!
(Epigramma numero 17)
Not lehrt beten, man sagt's; will einer es lernen, er gehe
nach Italien! Not findet der Fremde gewiss.

Forse è solo una mia impressione, ma la descrizione che Johann ci lascia del nostro paese non è poi tanto distante da quello che il nostro paese è tutt’ora.

La sporcizia, il menefreghismo, la tendenza al raggiro, l’indisciplina, la mancanza di ordine: sono tutte caratteristiche che qualsiasi viaggiatore straniero può riconoscere tutt’ora nella nostra penisola. Basta uscire dai confini italiani e farsi un giro negli altri paesi europei per rendersi conto di quanto sia abissale in molti casi la differenza degli altri popoli nella cura delle proprie strade, dei propri musei, delle proprie scuole, dei propri giardini, la valorizzazione dei propri beni artistici. Basterebbe viaggiare con maggior sguardo critico nei nostri personali confronti piuttosto che con la solita goliardica convinzione che il nostro paese sia migliore degli altri grazie alla sua cucina (pizza pasta e mandolino) e alle sue spiagge.

Johann partì duecento anni fa per il suo Grand Tour per scoprire nuove culture, imparare nuove lingue, conoscere nuovi usi, assimilare il meglio delle terre visitate e tornare a casa migliorato, mescolando quelle sue scoperte alla sua persona, passando dal viaggiare in modo soggettivo (vado a Parigi solo per farmi un selfie sotto alla Tour Eiffel e postarlo su Instagram) al viaggiare in modo oggettivo (vado a Parigi per entrare nel ritmo della città, capire cosa è la Tour Eiffel, da quanto tempo esiste, cosa ha significato per Parigi e che impatto ha avuto sui suoi cittadini).

Applicando lo stesso spirito di Johann anche noi oggi possiamo vivere un Grand Tour che sia esso in terre lontane o dentro ai confini del nostro stesso paese. Possiamo assimilare il meglio di ogni cultura, capirne il significato e applicare le stesse regole qui tra le vie delle nostre case.

L’Italia, la sua natura, il suo patrimonio artistico, di fronte ad un rinnovato rispetto nei loro confronti, ringrazieranno.


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Goethe_viaggio_in_Italia

Autore: Johann Wolfgang Goethe

Titolo: Viaggio in Italia

Pagine: 768

Casa editrice: Rizzoli

Viaggiamo con Johann attraverso l’Italia di duecento anni fa.


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Buona lettura!


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