Il pianeta delle scimmie di Pierre Boulle
Lo so, la domanda sorge spontanea: “AH, ma c’è il libro?“
Ebbene sì, come nella stragrande maggioranza dei casi quando si parla di film di fantascienza la vera origine delle trame geniali che il mondo on demand ci propone è letteraria. Avete presente “Minority Report“, “Blade Runner”, “Io Robot“…non esisterebbero se un certo Philiph Dick e un certo Isaac Asimov non avessero trascorso la loro vita a scrivere e inventare universi dispotici in cui ambientare i loro libri.
Lo stesso è accaduto con “Il pianeta delle scimmie“. I film tratti da questa opera iniziano ad essere davvero parecchi. Chi è della mia generazione si ricorderà forse quello diretto da Tim Burton, remake del primo film che si meritò l’oscar nel 1969 e che diede il via ad un ciclo di ben cinque film tratti da una versione rivisitata del libro. Oltre a queste sei pellicole si aggiunge poi l’ultimo reboot, la cui puntata finale è al cinema proprio in questo periodo. Bello bellissimo, ma perché ti invito a leggere questa piccola perla nella sua versione originale?
Perché leggere “Il pianeta delle scimmie” oggi?
Prima di tutto una premessa. In questo articolo non ci saranno spoiler, non ti racconterò la trama completa del libro semplicemente perché il mio scopo è quello di invitarti alla lettura. Se ti raccontassi la trama per filo e per segno ti passerebbe la voglia di leggere, lo so. Piuttosto troverai qui qualche spunto e appunto che spero stuzzichi la tua curiosità e ti porti a lanciarti nella lettura di un libro che non è una storia di fantascienza, ma una vera e propria critica allo sfruttamento animale.
Parte prima – Il pianeta Soror: un cambio di prospettiva
In primis, “Il pianeta delle scimmie” è stato pubblicato nel 1963 dallo scrittore francese Pierre Boulle.
Ma di cosa tratta? In due parole: un viaggiatore dello spazio francese di nome Ulisse si ritrova ad esplorare un pianeta di nome Soror (che in latino significa sorella) lontano dalla nostra galassia, ruotante attorno alla stella Bételgeuse. Il pianeta è bellissimo, simile alla terra, non fosse per un piccolo particolare: sono le scimmie, evolute e parlanti, a governare, mentre gli uomini, muti e trogloditi, sono i loro schiavi. Da qui parte una ricerca di verità da parte del protagonista, narrata nelle tre sezioni in cui il libro è diviso: nella prima viene raccontato il suo sgomento iniziale; nella seconda il suo tentativo di essere accettato dalla comunità scimmiesca, diventando presto amico di due scienziati, Zira e Cornelius; nella terza il suo comprendere il perché di un tale assurdo cambio di ruoli.
Dopo aver gironzolato a caso scoprimmo di essere in una specie di accampamento, dove i rifugi non erano propriamente delle tende, ma delle specie di nidi, come ne costruiscono le grosse scimmie della nostra foresta africana: qualche fronda intrecciata, senza legami, poggiante sul terreno tra i rami bassi e biforcuti degli alberi.
Ecco cosa si trova davanti Ulisse una volta approdato a Soror: un branco di uomini che vivono sugli alberi come le grandi scimmie africane. Ma quali sono le grandi scimmie che abitano il nostro pianeta? Sono chiamate scimmie antropomorfe, sono quattro e sono i nostri parenti più stretti: i bonobo, gli scimpanzè, i gorilla e gli orango. Eccoli qui:
Conoscere questo particolare servirà nella lettura del libro.
Solitamente noi immaginiamo le scimmie come animali da andare a trovare allo zoo, stupidi imitatori senza cervello, ma nella realtà sono esseri tanto simili a noi da essere capaci di imparare il linguaggio dei segni e di apprendere e replicare senza problemi gesti e azioni “umane“, come lavare i panni ad esempio (a questo link ci sono svariati articoli riguardanti le scimmie e la somiglianza incredibile che hanno con noi). Ma per molto, troppo tempo, noi Sapiens abbiamo considerato le scimmie come delle stupide bestie da catturare e mostrare come trofei nelle nostre case. Non serve andare lontano per rivivere l’epoca del bracconaggio: in un qualsiasi museo di storia naturale del nostro paese sono esposte decine di vittime della caccia senza scrupoli, moda in voga soprattutto durante il XIX secolo. Non a caso una delle prime scene in cui si imbatte Ulisse è proprio quella della caccia.
Ecco il glorioso quadro della caccia. Ancora una volta le scimmie lavoravano con metodo. Collocavano i cadaveri insanguinati sul dorso, fianco a fianco, allineati come alla corda. (…) Si facevano ritrarre individualmente, in pose ostentate, alcuni posando il piede con aria di trionfo su una delle loro vittime; poi in gruppo compatto, in cui ciascuno intrecciava il braccio intorno al collo del proprio vicino.
Ma le prede non sono scimmie questa volta: le prede siamo noi, esseri umani. Da questo momento, Ulisse inizia ad assumere una maggiore consapevolezza verso il mondo in cui è atterrato. E anche in noi lettori inizia ad insinuarsi un cambio di prospettiva, si percepisce la crudeltà di un simile gesto. Leggendo le descrizioni dell’autore si immaginano le risate, la spensieratezza di un gruppo di amici che caccia per passione, per divertimento, non considerando affatto i cacciati come esseri intelligenti, ma come esseri inanimati con cui giocare, bambole da rompere e smembrare a proprio piacimento.
Parte seconda – La critica allo sfruttamento animale
Ora è doverosa una piccola linea del tempo per capire appieno ogni aspetto narrato dall’autore e il perché di questa sua fissazione verso le scimmie.
Facciamo dei passi indietro.
Nel 1859 dopo aver trovato abbastanza coraggio da pubblicare le sue ricerche (eh si, era molto timido in realtà), un certo Charles Darwin pubblica “L’origine delle specie“, un libricino di un centinaio di pagine in cui il ricercatore espone la teoria che lo rese celebre. Sono stati scritti fiumi di parole per descriverla e questo non è il luogo per approfondirla, basti sapere che in quello scritto Charles mette una pulce all’orecchio della comunità scientifica. E se noi esseri umani discendessimo da un antenato comune a quello delle scimmie? Prima di allora nessuno aveva mai osato pubblicare un’affermazione simile: noi siamo stati creati da Dio, siamo discendenti diretti di Adamo ed Eva. Le scimmie, fino a quel momento, erano solo degli stupidi animali da circo.
Bastarono pochi anni e la teoria di Darwin venne approfondita, ampliata, girata e rigirata come un calzino fino a prendere effettiva veridicità: si, noi e le scimmie abbiamo qualcosa in comune.
In quegli stessi anni un certo Wilhelm Wundt rende ufficiale un nuovo e innovativo studio della mente umana che prenderà piede negli anni a venire grazie ai suoi successori, Sigmund Freud per citarne uno: la psicologia, in due parole lo studio della mente umana e dei suoi meccanismi. Una branca di questa nuova e innovativa scienza si dedicherà al comportamento dell’essere umano e a come il mondo che ci circonda influisce sui nostri gesti e sui nostri rapporti sociali secondo una regola molto semplice: a uno stimolo segue una risposta. Un po’ come facciamo con i cani quando diamo un biscottino in cambio della zampa.
Nei primi anni del 1900 l’intuizione di Darwin e questa nuova branca della psicologia si uniscono tra loro dando il via a una serie di esperimenti scientifici che vedono come protagoniste proprio le scimmie. Come ragionano le scimmie? Lo fanno davvero? I loro atteggiamenti sono innati o sono conseguenza di ciò che le circonda?
Wolfgang Kohler e Harry Harlow furono i fautori di esperimenti comportamentali che videro macachi e scimpanzè come protagonisti. Un esperimento tra tutti, avvenuto negli anni ’60 ebbe un’eco mondiale tale da suscitare scalpore e critiche in tutta la comunità scientifica. Per studiare l’attaccamento materno, alcuni cuccioli venivano privati per anni della madre la quale veniva sostituta da due diversi pupazzi, uno in ferro contenente un biberon con del latte, uno in stoffa privo di biberon. Lo scopo insensato della prova era verificare a quale dei due pupazzi il cucciolo accorreva per la maggior parte del suo tempo. Inutile dire che tale esperimento portò a problemi di depressione nei cuccioli analizzati.
Bene. Ulisse sul pianeta Soror si ritrova ad essere vittima di quegli stessi esperimenti fatti alle scimmie sul pianeta Terra, in un assurdo cambio di ruoli.
L’indomani (…) invece di deporci il cibo nelle gabbie come facevano di solito (…) i due gorilla lo appesero al soffitto, dentro a delle ceste, per mezzo di un sistema di carrucole di cui erano munite le gabbie. Nello stesso tempo collocarono in ogni gabbia quattro cubi di legno, abbastanza grandi. Quindi si tirarono in disparte e stettero ad osservarci.
Ma non finisce qui.
I primi decenni del 1900 sono stati anche l’epoca d’oro della sperimentazione animale. Personalità come Ivan Pavlov (scopritore del riflesso condizionato, il motivo per cui sentiamo l’acquolina in bocca quando vediamo una fetta di tiramisù) e Rita Levi Montalcini utilizzarono la vivisezione per i loro esperimenti facendo fare grandi passi in avanti allo studio medico di malattie del sistema nervoso.
“Che cosa è la sezione encefalica?” domandai allarmato. “È il reparto dove vengono fatte certe operazioni delicatissime al cervello: innesti, ricerca e alterazione dei centri nervosi, asportazione parziale e anche totale.” “E voi fate questi esperimenti sugli uomini!” “Si capisce. Il cervello dell’uomo, come d’altronde tutta la sua anatomia, è quello che assomiglia di più al nostro! È una fortuna che la natura ci abbia messo a disposizione un’animale sul quale studiare il nostro stesso corpo.”
Ed ecco ancora il cambio di prospettiva: le scimmie di Soros vivisezionano gli umani a scopi scientifici, scaturendo indignazione in Ulisse, il quale resta combattuto tra l’accettare un simile atteggiamento (non lo facevano anche loro sul pianeta Terra con le scimmie?) e il condannarlo.
Parte terza – Siamo tutti imitatori?
La terza parte de “Il pianeta delle scimmie” ruota attorno ad un grande interrogativo che tutt’ora si pone la comunità scientifica. Sarebbe banale renderlo con un “è nato prima l’uovo o la gallina?“, ma in fin dei conti sempre lì si va a parare. Le scimmie di Soror (e quindi di specchio noi uomini del pianeta Terra) sono esseri coscienti e intelligenti di loro spontanea volontà o lo diventano grazie all’imitazione di chi hanno attorno? Arrivano a porre conclusioni usando solo l’istinto o è la società e la rete di atre persone che le circondano ad educarle all’azione?
Che cosa caratterizza una civiltà? Il genio eccezionale? No: la vita di tutti i giorni… (…) Di che cosa è fatta la nostra letteratura? Di capolavori? Neppure per sogno! Quando viene scritto un libro originale – non ce n’è più di uno o due per secolo – i letterati non fanno che imitarlo, ossia lo copiano, cosicché vengano pubblicate centinaia di migliaia di opere che trattano esattamente i medesimi argomenti, con titoli un po’ diversi e diverse combinazioni di frasi.
Ulisse ragiona tra sé e sé e ci porta a rispecchiare le sue intuizioni su di noi.
Certamente questo è un argomento interessante da approfondire e a cui la stessa comunità scientifica dedica tutt’ora una grade fetta dei suoi studi. Ma ciò che interessa a noi in questo frangente è la capacità con cui l’autore de “Il pianeta delle scimmie” è riuscito a mettere all’interno della sua opera dei quesiti così profondi semplicemente cambiando il punto di vista sull’evoluzione umana.
Nell’ultima parte del libro la domanda principale è anche un’altra: come mai nel pianeta Soror sono le scimmie a governare gli uomini e non viceversa? Ulisse troverà una risposta a questa sua domanda?
C’è solo un modo per scoprirlo: leggere il libro!
Lo trovi a questo link.
E quindi non mi resta che augurarti BUONA LETTURA!!
E i film?
“Eh ma io ho visto il film!” Anche io ho visto il film prima di leggere il libro e proprio per questo ho sentito il bisogno di capire cosa fosse narrato nella storia originale!
C’è da dire una cosa: i film non sono un remake del libri, non hanno l’intento di seguire passo passo la trama nata dalla penna di Pierre Boulle. Sono de reboot, cioè delle nuove interpretazioni dell’opera stessa. Ma…c’è sempre un ma!
Di recente ho voluto vedere i film originali degli anni ’60. Che dire, sono a mio avviso i migliori reboot tra tutti quelli usciti al cinema, nonostante qualche scena un po’ debole, soprattutto nel secondo e nell’ultimo film.
Li ho guardati con piacere, principalmente per due motivi.
Il primo: essendo film degli anni ’60/70 tutte le scene sono state girate realmente all’aperto. Le scene di guerra sono reali, i costumi sono reali, le riprese dall’alto e i panorama sono reali, gli effetti speciali sono pochi e la maestria degli attori nell’impersonare delle scimmie è eccellente sotto ogni aspetto. Sono film concreti, non creati tramite il green screen e tramite l’ausilio di intelligenze artificiali e di grafiche computerizzate. E credimi, già questo è un motivo valido per guardare la serie completa.
Il secondo motivo: la trama è in parte cambiata, ma approfondita per rendere ancora più evidente la critica allo sfruttamento animale e alla violenza umana già presente all’interno del libro. Uno dei precetti principali attorno a cui ruota tutta la pentalogia è il concetto di pace tra le scimmie: una scimmia non uccide un’altra scimmia, come invece avviene tra gli uomini. Anche in questi film troviamo chiaramente i rimandi alle teorie darwiniste, all’evoluzionismo, come anche alla sperimentazione animale (sono messi in scena gli esperimenti di Kohler di cui ho parlato prima).
Nei film viene marcata molto anche la differenza tra etnie presente nel mondo delle grandi scimmie, velata nel libro. Gli Orango sono considerati una casta di governatori e religiosi intransigenti, i Gorilla una casta di guerrieri e mercenari senza scrupoli mentre gli scimpanzè sono descritti come una casta di scienziati e lavoratori, docili e gentili.
A livello di trama globale poi gli sceneggiatori sono stati bravissimi nel chiudere un cerchio. Il vero protagonista della pentalogia, Cesare, nasce per unire il mondo umano e quello scimmiesco e nonostante le mille peripezie, i salti spazio temporali e le guerre, riesce nel suo intento.
Vale la pena vedere la pentalogia anni ’60? La risposta è si. Sono anche film brevi, durano 90 minuti circa, niente in confronto ai 120/130 minuti a cui ci ha abituato il cinema odierno. Quindi il mio consiglio è di guardarli, li puoi trovare su Amazon Prime.
Il film del 2001 di Tim Burton “Planet of the Apes” è un reboot a sé. Non ha quasi nulla a che fare con il libro originale, se non qualche spunto e qualche nome, ma non lo consiglierei a chi è interessato ad una versione profonda e filosofica del tema evoluzionismo/sfruttamento animale.
Per quanto riguarda l’ultima saga iniziata nel 2011 con “L’alba del pianeta delle scimmie”, a cui sono seguiti “Apes Revolution” nel 2014, “The War” nel 2017 e “Il regno del pianeta delle scimmie” nel 2024, la trama è completamente stravolta, resta vivo solo qualche nome presente nel libro originale e qualche citazione della prima pentalogia. Qui gli effetti speciali ne fanno da padroni come anche le scene di guerra e di violenza tipiche del cinema americano degli ultimi vent’anni. Una serie da cui non ricavare grandi insegnamenti umani e riflessivi, se non nel primo film, quello in cui la scimmia Cesare acquisisce intelligenza grazie ad un farmaco somministratole in laboratorio. Esiste quindi una critica posta con una certa profondità al mondo della sperimentazione animale, ma tolta la prima pellicola le atre perdono spessore e ripiegano su quella tipica vendibilità guerrafondaia da film hollywoodiano.
I libri che ti consiglio
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Se deciderai di comprare il libro o di continuare le tue spese dai link che trovi su questo articolo, aiuterai PopPoesia a mantenersi! E avrai tutta la mia gratitudine!
Autore: Pierre Boulle
Titolo: Il pianeta delle scimmie
Pagine: 240
Casa editrice: Mondadori
Un libro fantascientifico ormai cinquantenne da riprendere in mano.
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Buona lettura!
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